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Domenica 21 Maggio 2006
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È nata a Vicenza la prima
mostra dei videogiochi e calcolatori che spopolavano negli
anni ’70
Noi, “archeologi” del computer
Dal Commodore all’Apple ecco
il museo dei vecchi pc
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di Alessandro Mognon
In fondo sono degli
antiquari. Di computer, ma sempre antiquari. Anche se il
reperto più vecchio è al massimo degli anni ’60. Comunque
dal 1998 organizzano alle porte di Vicenza la prima (e
comunque ancora una delle poche) mostre italiane di
“Retrocomputing”. Parola inquietante per dire una
esibizione al pubblico di tastiere, monitor, macchine,
circuiti integrati e vecchi videogiochi che hanno fatto la
storia dell’informatica. Tutto rigorosamente funzionante. E
guai a chi non prova ad usarli. Vicenza Retrocomputing
è una specie di amarcord fatto di bit e pixel. Ricordando i
primi personal computer e consolle apparse negli anni ’80:
nomi come Commodore, Spectrum, Atari. I primi Apple con il
monitor minuscolo, gli Ibm tutto-in-uno con il registratore
per le cassettine. E perfino un super-calcolatore usato per
gli effetti speciali al cinema almeno negli anni ’90,
recuperato da una discarica. Ma anche l’archeologia dei
videogiochi, come il ping pong (adesso sta nei cellulari,
negli anni ’70 serviva un affare alto un metro e mezzo), o
il muro. Cose come asteroids e space invaders che verranno
poco dopo sembrano quasi fantascienza. Quello che
ancora non ha una risposta è perché l’idea del
retrocomputing sia nato a Vicenza. Non lo sanno neppure i
fondatori: «Nella prima edizione del’ 98 in una sala
comunale di via Maurisio saranno venute una decina di
persone - racconta Davide Borin, 34 anni, storico ideatore
della mostra assieme a Lorenzo Fongaro -. Nell’ultima,
l’anno scorso, abbiamo toccato il centinaio. Che per noi
sono tante. Sono quasi tutti espositori, ma è quello lo
spirito. A noi interessa trovarsi e far vedere i nostri
tesori. Tutti in perfette condizioni e accesi. Perché
vogliamo che chiunque venga li provi, è quello che ci
piace». Altro che mostre barbose, dove si guarda e guai
a chi tocca. Qui toccare è la regola. Borin fa un piccolo
elenco: «Ci sono le consolle Atari 2006 anni ’70, gli home
computer Spectrum, Msx, c’è chi ha portato calcolatori
meccanici, un server usato dalla biblioteca di Vicenza, una
macchina che controllava una centrale elettrica». E c’è la
storia curiosa di quel Silicon Graphics Indigo, computer
del ’92 usato per la grafica tridimensionale dei film
americani tipo Jurassic Park: «A Vicenza i vecchi pc
finiscono in discarica - spiega Borin -. E se sono a posto
li regalano alla Cooperativa Insieme. Io l’ho recuperato, a
suo tempo era un gioiello, aveva un processore a 64 bit.
Adesso? È imparagonabile...». Poi i videogiochi: Btt
block della Taito, Muretto del ’77. «Vengono dal Giappone,
sotto gli adesivi “play” o “start” ci sono ancora gli
ideogrammi. Una rarità assoluta». Dopo i guai e le
difficoltà delle precedenti edizioni a Villa Lattes fra
spazi ridotti e parcheggi striminziti il 19 marzo scorso
Vicenza retrocomputing ha trovato casa nell’aula magna del
Comune di Monticello Conte Otto. Una cinquantina gli
espositori: una decina dal Vicentino, il resto da mezza
Italia. Ma chi sono questi maniaci dell’archeo-bit? «Gente
senza età, dai 14 ai 60 anni, operai e dirigenti
d’azienda». Sono mostre dove chi si siede deve provare
tutto e guai non chiedere informazioni ai proprietari
innamorati. Altrimenti si offendono.
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